Airmaskit, ovvero come stampare un’idea in 3D.

Airmaskit: dai tortellini alle mascherine chirurgiche. Intervista a Giordano Perugini

Questo articolo è un po’ diverso da quelli che di solito scrivo, sia per l’oggetto di cui parlo, sia per la modalità con cui ne parlo; è infatti la prima intervista del blog.

L’oggetto di cui vi racconto è Airmaskit, un dispositivo (non medicale) per mascherina chirurgica inventato e brevettato da… mio padre! Forse vi starete chiedendo di cosa si tratta e che cosa c’entra con Ma Che Buoni. E’ vero, questa volta non parliamo di ricette o di ingredienti genuini, eppure Airmaskit racchiude in sé l’essenza stessa della nostra piccola azienda a conduzione familiare. Rappresenta perfettamente una delle nostre caratteristiche migliori (evviva la modestia!): la capacità di adattarci ai tempi così mutevoli in cui viviamo, di credere ed investire in un progetto che altri ancora nemmeno immaginano possa esistere. D’altronde Ma Che Buoni è nato proprio così, dalla voglia di reagire al cambiamento epocale che il Corona virus aveva portato in azienda.

La persona che intervisto è appunto mio papà. Quando penso a lui e a ciò che ha costruito, mi chiedo spesso (con orgoglio) dove abbia trovato il coraggio di fare certe scelte, da dove gli venissero le idee. Classe 1960, diplomato ragioniere: al tempo avrebbe potuto lavorare come impiegato e condurre una vita più regolare di quella che ha avuto. Invece a 18 anni si è messo a vendere pentole, a 19 spillatori per birra e a 24 ha aperto con mamma un ristorante da cerimonie. Attenzione, non voglio sminuire alcun mestiere. Nella vita non conta tanto quello che fai, ma come lo fai. Ed infatti è il come ha fatto determinate cose che mi ha sempre affascinata. Ecco quindi a voi la mia intervista a Giordano Perugini.

Maila: “Quando e come hai avuto l’idea di realizzare Arimaskit?”

Giordano: “L’idea mi è venuta nel luglio 2018, mentre sostituivo un addetto alla produzione che per malattia non era venuto a lavoro. Sono stato una settimana in produzione con la mascherina, non riuscivo a sopportarla: ogni volta che me la abbassavo per respirare venivo ripreso da mia moglie e dovevo rimetterla subito. A fine giornata ero stanco e mi faceva male la testa, così ho pensato che se fossi riuscito a non respirare tutto il giorno aria consumata non avrei avuto l’emicrania. Dal secondo giorno di lavoro in produzione ho iniziato a pensare a come poter risolvere il problema ai nostri collaboratori, che, al contrario di me, devono lavorare tutto l’anno con la mascherina chirurgica.”

Maila: “Quali sono le difficoltà che hai incontrato durante il percorso?”

Giordano: “Difficoltà tante,  ma soprattutto la mia ignoranza in materia è stato il più grande ostacolo. Inoltre, cercando di capire come risolvere il problema, mi sono tenuto tutto dentro e non ne ho parlato con nessuno. Così facendo non ho trovato subito la soluzione, che invece era semplice e davanti al mio naso.

Io volevo risolvere il problema costruendo una mascherina con un bordino di stoffa che dividesse il naso dalla bocca: respirando con il naso ed espirando con la bocca, avrei evitato di far rientrare nei miei polmoni l’ aria già consumata, carica di anidride carbonica.

A Settembre 2020 ne ho parlato con la mia famiglia, avevo capito che non si poteva fare in stoffa e mi era venuta l’idea delle stampanti 3 D. Semplice a dirsi, ma difficile capire a chi rivolgersi. Magari qui nei dintorni le sanno usare in tanti e benissimo, ma siccome siamo marchigiani non ci facciamo la giusta pubblicità. Maila mi ha presentato Daniele, suo amico d’infanzia, che mi ha realizzato i primi prototipi. Li ha modificati e migliorati fino a che non li ho reputati adatti allo scopo che mi ero prefisso. Parlare aiuta sempre a risolvere i problemi, ma forse era vero che neanche io ci credevo cosi tanto.”

Maila: “Qual è il punto di forza di Airmaskit?”

Giordano: “Se usata correttamente, aiuta a non respirare aria consumata e quindi ad evitare il mal di testa. Per questo abbiamo creato subito anche una linea “baby” per i bambini e ragazzini che  a scuola sono costretti ad indossare sempre la mascherina chirurgica e si stancano molto più del normale. Inoltre, non ti fa ingoiare quei fastidiosissimi “pelucchi” che si creano sulla mascherina dopo un po’ che la porti. Quando vanno a finire in gola creano tantissimi disagi se devi parlare.

La commercialista ci ha anche fatto notare che portando un giorno intero Airmaskit non le si era rovinato il rossetto né il fondo tinta. Devo ammettere che a questo non avevo assolutamente pensato, ma è comunque un problema risolto, anche se involontariamente.”

Maila: “Ci racconti qualcosa di divertente che è successo lavorando alla realizzazione di Airmaskit?”

Giordano: “Ogni volta che parlavo con miei conoscenti di questo articolino che volevo creare, vedevo le facce più strane, come a dirmi che ero matto. Ora che l’idea ha preso forma posso farlo provare con mano: continuo sì a vedere quelle espressioni, ma una volta che lo indossano correttamente, mi richiamano per farmi i complimenti e ringraziamenti per il sollievo che ne traggono. Forse non sono più così matto come sembravo all’inizio”.

Maila: “Nella vita hai sempre iniziato percorsi nuovi, vedendo opportunità dove gli altri non vedevano niente. Che consiglio daresti a chi vuole mettersi in gioco come te?”

Giordano: “Non c’e da mettersi in gioco, basta ascoltare i discorsi degli altri. Molto spesso le persone con cui parliamo ci danno degli input a loro insaputa, ci parlano di problemi che hanno quotidianamente, ma ci danno anche la soluzione al loro problema. Basta ascoltarli, capire prima il problema e poi tirar fuori la soluzione.

Oppure quando lavori o fai altro, cerca di capire come si potrebbe lavorare meno e finire prima, così da poter dedicare più tempo a te stesso. Così troverai la soluzione che ti agevola nel lavoro. Se proprio non ci riesci rivolgiti a me, per quattro soldi ti risolvo il problema al volo.”

Ma che snack. La mia nutrizionista è differente.

“Voglia di qualcosa di buono”, ma Ambrogio non c’entra niente…

Si, lo so, la frase originaria era “la mia banca è differente”, ma quando penso a Elisabetta, Francesca e Sonia io non trovo definizione migliore.

Ci siamo conosciute a fine 2015, quando un caro amico di famiglia telefonò a mio padre dicendogli “Giordano, ho un progetto fantastico da sottoporti”. Quel progetto si chiamava Eat&Out ed io lo abbracciai immediatamente, con tutto l’entusiasmo di cui sono capace quando qualcosa mi interessa davvero. Del resto era difficile non innamorarsene: un gruppo di ricercatrici dell’Università Politecnica delle Marche mi proponeva di produrre menù nutrizionalmente bilanciati, da consumare in pausa pranzo, per un’alimentazione migliore. Sentivo parlare per la prima volta di topinambur, semi oleosi, dell’importanza delle farine integrali nella dieta di ogni giorno. Un mondo nuovo, tutto da scoprire. Una nuova opportunità di crescita, professionale e personale.

PS: non me ne sono innamorata solamente io, anche la giornalista del TG3 Marche Annalisa Serpilli, che infatti venne ad intervistarci in azienda! Clicca per vedere il servizio di FarMarche, video 1 e video 2 del 10 maggio 2016.

5 anni dopo, la collaborazione continua. Sarebbe davvero professionale (e figo) dire che ho condotto indagini di mercato approfondite e che ho studiato attentamente i trend dei consumi degli ultimi anni, prima di rivolgermi alle amiche di Biomedfood. In realtà ero semplicemente a dieta e non ne potevo più di alternare cracker industriali a 20 grammi di mandorle a merenda. Non me ne voglia nessun nutrizionista, ma se sei un tantino goloso, dopo un mese di restrizioni ti viene il latte alle ginocchia. Ho pensato questo: quanta gente, come me, fa un lavoro sedentario e non sa cosa mangiare per fermare la fame di metà mattina o metà pomeriggio? Oppure, quanti lavorano di notte e hanno bisogno di uno snack che gli permetta di ricaricare le batterie? Le merendine non mi sono mai piaciute e le “macchinette” – i distributori automatici negli uffici – vendono solo prodotti pieni di zuccheri. Non sempre si ha tempo o voglia di prepararsi qualcosa da casa. Quindi si, poi ho fatto le mie belle indagini di mercato, ma l’idea è nata proprio così. Nuda e cruda: avevo “voglia di qualcosa di buono”, ma non potevo permettermi gli zuccheri dei Ferrero Rocher di Ambrogio (se c’è qualche giovincello che si sta domandando chi sia Ambrogio, prego di farsi una cultura qui, grazie).

E così è nato #machesnack. Ideato da professioniste della nutrizione e creato dalle abili mani di Alex, sotto la guida del capo supremo della nostra cucina: mamma Loriana. All’inizio c’è stato da lavorare, i primi biscottoni sfornati sapevano più di segatura che di biscotto e la barretta si sfaldava appena la toccavi. Ma abbiamo lavorato a lungo su tutte le ricette ed il risultato è ottimo e soprattutto unico nel suo genere; infatti, le aziende che producono snack “salutistici” sono di ben altre dimensioni e hanno dei budget spesi in marketing che probabilmente valgono il doppio del mio bilancio di esercizio degli ultimi due anni. Non importa, non voglio mettermi in concorrenza con i colossi che si trovano al supermercato. Per me è motivo di orgoglio che una piccola azienda come la mia, porti avanti progetti di ricerca come questo.

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