Marchigiani nel DNA

In bilico tra glamour e autenticità: i marchigiani nell’epoca dei social

Da quando ho iniziato a lavorare, ho sempre seguito tante cose diverse in azienda. E non potrebbe essere altrimenti, perché siamo piccoli e nelle realtà come la nostra devi per forza saperti destreggiare tra mille cose. Questo vale per me, come per molti altri della mia squadra. Spesso mi capita che nel giro di una mattinata io debba passare dalla contabilità, al controllo etichette. Dagli ordini ai fornitori, alla logistica. Dal piano di autocontrollo HACCP, ai corsi di aggiornamento per la sicurezza sul lavoro. In questi giorni però mi sto dedicando tanto a quello che mi piace di più in assoluto del mio lavoro: i clienti.

Da un lato c’è un rapporto “in carne ed ossa”, perché abbiamo attivato il ritiro in sede e le persone vengono a provare le nuove SurpriseBox o ritirare le Magic box TooGoodToGo. Anche se ci vediamo a distanza e siamo coperti dalle mascherine, ho comunque modo di scambiare due parole e di sentire i loro commenti. Il che è una gran bella cosa, perché fanno piacere sia i complimenti sia gli spunti di miglioramento o le critiche.

Dall’altro lato c’è il rapporto “virtuale”, con i clienti a cui consegniamo in tutta Italia. Questo è più impegnativo, perché non posso fare affidamento sulla memoria fotografica. Però ho preso l’abitudine di guardare gli ordini della settimana e scrivere una mail ad ognuno per sapere se si sono trovati bene e quali consigli hanno per aiutarci a migliorare (nuovo ruolo: CRM umano). Richiede tempo, però è davvero utile. In uno di questi scambi neo epistolari, una gentilissima ragazza mi ha dato il suo feedback su Ma Che Buoni e su altri due siti da cui ha acquistato pasti pronti. Uno lo avevo già testato, mentre l’altro lo conoscevo solo di nome. Così stamattina, sbrigate le incombenze più urgenti, sono andata a vedere cosa offrivano di interessante e ho effettuato un ordine.

Quando ho visto il sito ho immediatamente fatto due considerazioni: dal punto di vista tecnico, offre funzioni molto più avanzate del mio. Inoltre, c’è tanto, tantissimo “glam”. Cosa intendo? Intendo che in home page c’è un cuoco che fa fare le giravolte a un invitante trancio di pesce, per poi stenderlo sul tagliere ed “accarezzarlo” col coltello. Gli ingredienti si mischiano e saltano in padella come stessi guardando Uliassi che cucina solo per te. Poi, andando a leggere le ricette, scopro che sono molto simili alla nostra selezione Natural Eat. MA, ma… C’è un MA che fa tutta la differenza! Presentano il tutto molto meglio di come facciamo noi con i nostri piatti unici. È come se conoscessero il segreto per vivere sani, belli e muscolosi fino a 150 e volessero condividerlo con te che li osservi. A me non sarebbe mai venuta in mente una home page del genere. Mi rendo conto che per quanto mi sforzi di imparare un nuovo modo di lavorare, di base sono convinta di una cosa: conta la sostanza, non la forma. Il mio metro di giudizio si basa su questo, non ci posso fare niente. Per questo non avrei mai pensato a un sito del genere. E’ il motivo per cui non sopporto i cuochi stellati, ma amo profondamente Benedetta Rossi. Il suo è l’unico programma di cucina che io abbia mai seguito in vita mia. E’ genuina, come quello che prepara. Senza artifizi, parla la mia lingua. A mio avviso, è questa una delle caratteristiche principali di noi marchigiani: facciamo cose buone e le presentiamo in modo semplice, perché siamo convinti che solo questo conti. Ma siamo sicuri di aver ragione?

Mi sa di no. Non siamo tutti Benedetta Rossi. E soprattutto, nel 2020 non si può pensare che basti cucinare bene per tenere in piedi un’azienda di pasti pronti. Questo però non significa voler tradire la nostra identità (anche perché non ci riusciremmo!). Quindi che fare? Mi sono risposta che l’unica cosa sensata è imparare da chi fa meglio. Per quanto riguarda Ma Che Buoni questo vuol dire rimettere in discussione il nostro punto di vista e imparare a raccontarci al meglio. Ad esempio attraverso questo blog, attraverso i social, attraverso il nostro sito. Affidandoci a voi che avete un punto di vista esterno. Affidandoci anche e soprattutto al sostegno di chi lo fa di mestiere. Qualcuno che sappia incanalare la nostra “marchigianità” nel modo giusto. E, ovviamente, continuare a fare bene quello che più amiamo: cucinare!

Ma Che Buoni: artigianale, marchigiano.

PS: in questo percorso ci accompagnano le ragazze di KakiDigital, e per fortuna che ci sono! Da sola non avrei combinato la metà di quello che ho fatto su Ma Che Buoni da luglio ad oggi. Ci mettono il cuore e la fantasia! Ecco qualche scatto in anteprima del “Natale” marchigiano che stiamo preparando insieme, per voi…

Perché scrivere di cucina (se non sai cucinare)?

Perché parlare di cucina, se non sai cucinare? E perché il calzolaio va in giro con le scarpe buche?

Quando è nato MaCheBuoni, siamo stati letteralmente travolti dagli eventi. Era appena partita l’emergenza Covid-19 e dovevamo riorganizzare il lavoro il prima possibile. La priorità era adeguarsi velocemente per riuscire a fornire un servizio adatto alla nuova situazione in cui ci trovavamo. Siamo partiti e basta, senza pianificazioni, senza marketing e grafiche accattivanti, solo seguendo l’istinto (di sopravvivenza!).

13 Marzo 2020. Una crostata e tante verdure per la nostra prima cliente, la signora Rita, 87 anni!

A distanza di 6 mesi, mi sembra il momento di fare un piccolo salto di qualità. Quindi torniamo alla domanda iniziale: “perché parlare di cucina (se non sai cucinare)?”. La risposta è che attraverso questo blog vorrei raccontarvi il dietro le quinte di MaCheBuoni. Vorrei parlarvi di come nascono le ricette, delle persone che collaborano al progetto, delle difficoltà e delle soddisfazioni di tutti i giorni. E vorrei farlo attraverso il mio punto di vista, che parte proprio dalla cucina. Non sono molto brava ai fornelli: un piatto di pasta o una frittata sono le mie creazioni più elaborate. I miei figli sono sempre inappetenti se preparo io la cena, mentre puliscono il piatto quando vanno dalla nonna. Un po’ come il calzolaio che ha le scarpe rotte: la mia azienda produce piatti pronti, ma io che sono la titolare non li so cucinare. Conosco i miei limiti, ma posso tranquillamente affermare che in cucina ci sono nata e cresciuta. Per me la cucina era la possibilità di stare vicina a mamma quando io ero piccola e lei lavorava al ristorante: a 4 anni impastavo gli gnocchi, a 11 friggevo patatine e preparavo taglieri. La cucina era il profumo dei cannelloni a casa di nonna, le tavolate zii e cugini. La cucina per me è un po’ come la Madeleine di Proust. Beh certo, siamo nelle Marche, quindi invece che di Madeleine sarebbe più indicato citare un bel coniglio in potacchio o un panino al ciauscolo, ma il concetto non cambia.

Vivo questa azienda a tutto tondo, e lo faccio perché è uno stimolo continuo a crescere e migliorarmi, non solo perché devo portare a casa uno stipendio. Perciò ecco, mi presento: sono Maila Perugini, 34 anni, cuoca mancata e titolare di un’azienda di pasti pronti. Spero di farvi un po’ sorridere con i miei racconti, di incuriosirvi e di creare uno spazio che mi permetta di avere un riscontro diretto con chi acquista (o non acquista) i miei prodotti.